In un momento così importante come quello che stiamo vivendo dopo il lockdown, sull’onda della Ri-Partenza, molto spesso viene fatto appello alla razionalità, ad “usare la testa” contro azioni sconsiderata che potrebbero essere nocive per la salute nostra e di chi ci sta intorno. Anche qui lo storytelling, parola sin troppo abusata, ma che comunque in questo caso ha la sua importanza e, soprattutto, la sua funzione e ragion d’essere deve concordare con questi obiettivi. Spesso però non basta.
Solo negli ultimi anni e solamente in alcuni paesi gli strumenti dello storytelling, che potremmo fortemente semplificare come la scienza della narrazione, sono entrati a far parte delle istituzioni restando spesso confinate invece nel settore della comunicazione d’impresa e nella pubblicità – e non sempre neanche lì. Molto spesso nel mestiere della comunicazione ci sono trova di fronte ad una sottovalutazione delle professionalità, ma questo è un discorso su cui si potrebbe scrivere un’opera più lunga della Treccani.
Quella che si deve invece capire è che comunicare deve far vibrare. Anche nel comunicare l’emergenza bisogna riuscire a coinvolgere il destinatario. Bisogna puntare sull’emozionalità. Ho usato appositamente questo termine perché ha delle forti sfumature e degli accenti di profonda diversità rispetto ad emotivo ed emozionante. A molti potrà sembrare un sofismo, un trucco da chi “vuole entrare nella testa della gente” come potrebbe dire qualcuno sui social che spesso mette post sulle scie chimiche e so altri complotti. Hanno ragione. In parte. Perché la comunicazione non deve solo arrivare alla testa della gente, ma anche al cuore e al corpo.L’Emozionalità non è un sofismo
Emozionante riguarda normalmente un oggetto di esperienza, emotivo attiene più strettamente alla sfera del soggetto. Emozionale si inserisce nello spazio fra questi due termini, fra oggetto e soggetto, neanche come una vera e propria liaison, anzi con una sua forza indipendente ben precisa, però sicuramente nel territorio semantico che abbiamo indicato. Di per sé è l’oggetto a essere emozionale, la caratteristica non riguarda le emozioni di chi lo definisce né l’esperienza, ma la reazione che suscita nel destinatario. La comunicazione emozionale è quella che riesce ad usare nel suo messaggio quelle caratteristiche che più ricorderemo, non solo per una questione mnemonica, ma maggiormente corporea. Perché quello è il fine ultimo di questo topo di comunicazione: farci vibrare.
Sensorialità ed Oralità
“La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto”. Questa frase dell’economista Peter Drucker sottolinea quanto sia importante in un messaggio il sottotesto che non è, come molti credono, il set di una fotografia o di uno spot pubblicitario, ma anche lo spazio che c’è fra una lettera ed un’altra in una frase!
La comunicazione emozionale si basa sulla costruzione di messaggi volti a suscitare nel destinatario emozioni che lo coinvolgano a livello profondo e non solo cognitivo. Strettamente legata ad essa, è anche la comunicazione sensoriale, ossia quel tipo di comunicazione che si fonda sulla sollecitazione ”strategica” dei cinque sensi e che è in grado, dunque, di estendere i propri contenuti e le proprie capacità espressive oltre ciò che si può esprimere attraverso lo ”scritto” ed il ”parlato”.
Alcuni studi dimostrano che almeno il 70% delle scelte di un individuo avvengono sulla base di elementi soggettivi legati alla propria sensorialità, cioè senza essere filtrate dalla dimensione razionale. Una comunicazione in grado di coinvolgere i cinque sensi ha quindi più forti probabilità di successo e di restare impressa nei clienti/utenti dell’organizzazione che la propone. La comunicazione emozionale non solo è più efficace quanto più si lega all’esperienza che gli individui fanno attraverso i propri sensi, ma anche quando fa leva sullo humour, sul sorriso e sulla simpatia. Utilizzare strategie e modalità comunicative che si fondano su aspetti emozionali è uno degli aspetti che si possono tenere presenti nel momento in cui si redige il Piano di comunicazione di un Ente o di un’organizzazione e, in particolar modo, quando in esso si prevede la realizzazione di campagne di comunicazione che vogliano avere un maggior impatto su utenti e cittadini.
L’odissea di Odisseo
La comunicazione emozionale è una questione molto antica, nasce con l’uomo, poiché è espressione dell’oralità umana, che si attua con il corpo, la voce e la gestualità, cui si aggiunge la capacità di raccontare storie ed esperienze. Possiamo trovare i primi esempi di comunicazione emozionale nei testi della tradizione greca: nei poemi omerici sono descritti personaggi, Odisseo tra tutti, che sono in grado di parlare a lungo, in modo chiaro e persuasivo, capaci di utilizzare il pathos nei loro racconti e di trasmettere passione ed emozioni.
Una delle caratteristiche importanti della comunicazione emozionale è l’oralità che, diciamolo subito per i non addetti ai lavori, non riguarda il parlare in pubblico od il volume della voce! Si intende per comunicazione orale la trasmissione di un messaggio caratterizzata attraverso più dimensioni: il volume, la pronuncia, la velocità di emissione, il ritmo, tono di voce e molto altro! Sono caratteristiche che oggi appartengono fortemente alla comunicazione digitale, soprattutto per il suo coinvolgere l’intelligenza emotiva.
Intelligenze ed Empatia
Già dalla seconda metà degli anni ’70 gli studi di Howard Gardner misero in dubbio l’esistenza di una sola tipologia di intelligenza, quella che veniva identificata come logico-matematica e ne individuò invece nove tipi: logico-matematica, linguistica, spaziale, corporeo-cinestesica, musicale, interpersonale, intrapersonale, naturalistica ed esistenziale. Nel tempo questa idea è stata sempre più accettata e oggi psicologi e scienziati della comunicazione sono tutti d’accordo nel riconoscere una pluralità di intelligenze, ognuna delle quali indipendente dalle altre, per cui una persona può avere una profonda intelligenza logica ma una scarsa intelligenza linguistica, oppure una straordinaria intelligenza musicale ma nessuna intelligenza interpersonale. Tutto questo è fortemente connesso ai cambi di paradigmi nelle scienze umane e nelle scienze sociali che negli ultimi quarant’anni hanno indagato la complessità sempre più aumentata e profonda del mondo contemporaneo. Potremmo descrivere l’intelligenza emotiva come una zona che si colloca a metà tra l’intelligenza interpersonale e quella intrapersonale, quella capacità di comprendere anzitutto se stessi, rientrare in contatto con la propria individualità e far emergere la propria identità e, accanto a questo, la capacità di comprendere gli altri, di empatizzare con loro.
Comunicare se stessi è Comunicare con gli altri
Tutto questo si traduce, inevitabilmente, in una competenza importante: quella di comunicare se stessi e comunicare con gli altri, sfruttando le emozioni, per aumentare l’efficacia dei rapporti interpersonali, ridurre i conflitti e migliorare la vita quotidiana. La naturale di conseguenza di un’intelligenza emotiva, quindi, è un approccio comunicativo basato sulle emozioni. La comunicazione emozionale è quella che più ci coinvolge, che più ricordiamo anche se molto spesso ci lamentiamo della nostra memoria, è la capacità che un messaggio ha di oltrepassare il decadimento del mezzo, del suo singolo “significante”, ma riuscire ad essere polisemico e rimanere impresso nel ricevente! Per questo la comunicazione ha la necessità di essere operata da professionisti che sanno qual è l’approccio migliore per raggiungere i possibili target. Non si tratta più di “convincere” come spesso è stata dipinta la comunicazione istituzionale e d’impresa, ma di “coinvolgere” gli altri, di farli vibrare per attivare le loro emozioni.