Bruno, il paziente che da 16 anni è costretto a vivere con il casco e le mani fasciate (per non farsi del male da solo)
Fonte Corriere della Sera 14.04.2023 (link – permalink)
Sardegna, la denuncia della tesoriera dei Radicali, garante per la Sardegna delle persone private della libertà personale: «Questo trattamento è proprio necessario? Abbiamo fatto un esposto in procura, ma non è cambiato nulla»
«Se questo è un uomo», si è chiesta la tesoriera del Partito radicale Irene Testa, nei panni di garante per la Sardegna delle persone private della libertà personale.
Quest’uomo è Bruno, 50 anni, da ventiquattro internato al centro Aias di Cortoghiana, una frazione di Carbonia, nel Sud Sardegna.
Soffre di picacismo, vuol dire che ingerisce qualsiasi cosa gli capiti davanti, mozziconi di sigaretta o piccoli oggetti potenzialmente più pericolosi. Irene Testa è andata a trovarlo qualche giorno fa, dopo aver ricevuto una segnalazione.
Quando lo ha incontrato lo stavano imboccando, perché Bruno non mangia neanche da solo, non si lava, fa niente da solo, ha sempre le mani avvolte da garze, come le mummie, e in testa porta un caschetto tutto il giorno, glielo tolgono soltanto di notte, ma le mani continuano a essere legate.
La denuncia di Irene Testa
Sembra Hannibal Lecter, ha scritto Testa, ma Bruno non è un criminale, è un malato. Sul suo caso si era esposta già la presidente dell’Unasam, l’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale, Gisella Trincas Maglione. «È stato fatto anche un esposto alla Procura della Repubblica, un’interrogazione in Consiglio regionale della Sardegna, è stata inviata una lettera all’allora ministro della Salute Roberto Speranza. Non è cambiato nulla», spiega la garante. Che si chiede: «Esiste una soluzione alternativa? Il casco è proprio necessario? E se è necessario, gli deve coprire del tutto gli occhi? Non si potrebbe immaginare per lui una sala protetta, senza oggetti potenzialmente pericolosi dove farlo stare?».
Le reazioni dei lettori
Perché Bruno, a detta degli stessi operatori, non è pericoloso per gli altri, ma per sé stesso. «E allora non si può immaginare un’altra misura? Sono state fatte fare delle valutazioni da altri specialisti?», prosegue Testa. Il giorno in cui si sono visti, lei ha provato a parlargli, ma Bruno non ha risposto. Non parla, non reagisce. «È peggiorato negli ultimi anni — va avanti —, ma chi non peggiorerebbe se dovesse vivere con un casco in testa che gli copre la faccia?».
Sulla pagina Facebook dell’Unione Sarda i lettori hanno lasciato i commenti più diversi. Gloria Glory Ibba ha scritto: «All’Aias, quando c’ho lavorato io, legavano anche i pazienti/bambini autolesionisti… Una tortura vederli così, con le mani dietro la schiena, pure la notte, sdraiati a pancia in su».
Ma Stefano Graccione ha replicato: «Vergognoso è scrivere senza conoscere i fatti. Passare qualche giorno all’Aias e vedere quale soluzione migliore di quella. Oppure tacere!». Serena Stella propone: «Una stanza vuota, letto tv e poltrona».
Le alternative
Le soluzioni migliori possibili le devono trovare le persone che hanno la responsabilità di curare Bruno . Chiude Testa: «Io non so se c’è un’alternativa, ma vorrei che altri medici esprimessero un parere. All’Aias mi hanno detto che ci vorrebbe un operatore sanitario solo per Bruno, ma l’aumento chiesto per la sua retta, pari al 30 per cento, non copre le spese per una persona a sua disposizione. Io spero che qualcosa cambi».